Valeria, la sindrome dell’impostore e il caffè a Madrid
Ultimamente, vale per me, ma credo un po’ per tutti, su Netflix e sulle piattaforme di streaming cerchiamo leggerezza ed evasione. Così, le mie scelte sono letteralmente orientate verso trame light, umorismo, sarcasmo e location che mi facciamo almeno viaggiare con la mente.
E’ accaduto con Emily in Paris, e gli scorci di Parigi che tanto amo, ed è risuccesso con Valeria e una visione tutta nuova della meravigliosa Madrid.
Valeria
La ventottenne Valeria si imbatte nel bel tenebroso Victor mentre cerca di scrivere un romanzo. Lui si invaghisce subito della scrittrice provetta e le suggerisce di scrivere un romanzo erotico. Peccato che la poveretta, dopo sei anni di una relazione stabile ma traballante, non sappia più dove stia la passione e così si affida ai racconti delle amiche.
Ciò che scrive risulta però insipido e così Valeria inizia a scambiare messaggi allusivi con Victor e a sospettare che la sua relazione stia andando a rotoli.
Nel frattempo anche le sue amiche, Carmen, Lola e Nerea annaspano tra crisi amorose, tentativi di autoaffermazione e ricerca di una propria dimensione.
Amori, amicizie e la sindrome dell’Impostore
La serie, ispirata ai romanzi di Elísabeth Benavent, propone sicuramente alcune tematiche importanti; l’incertezza lavorativa e affettiva, l’ambizione insoddisfatta, il conflitto irrisolto con la generazione precedente e, ovviamente, il sesso. Inoltre mi ha fatto conoscere e soprattutto riflettere sulla sindrome dell’impostore.
Valeria poi si svolge nella splendida cornice di Madrid, molto più presente nelle serie tv da quando Netflix ha aperto lì il suo più grande centro di produzione.
Tra le serie girate nella capitale spagnola ci sono: La casa di carta, Le ragazze del centralino ed Elite, ma in Valeria è possibile ammirare la città da diverse angolazioni ancora inedite, come quelle della sua vita notturna vivacissima con le sue feste e i suoi locali.
Sindrome dell’impostore: lo strano timore delle persone capaci
Di sindrome dell’impostore soffrono, in genere, quelli che impostori non sono.
Curioso, no? Ecco di che si tratta: sindrome dell’impostore è un modo informale e non tecnico per definire una strana condizione mentale. Quella di chi, avendo ottenuto ampi e ripetuti riconoscimenti del proprio valore e una (meritata) dose di successo, di quel successo si sente indegno o immeritevole. E continua a sentirsi così nonostante ogni oggettiva evidenza contraria.
Nessuno è immune
La BBC News racconta che soffrono di sindrome dell’impostore scrittori e musicisti, uomini d’affari, professionisti. Le donne, specie quelle che ottengono buoni risultati in ambienti di lavoro prettamente maschili, ne soffrono più degli uomini. Ma nessuno è immune, e anche se il fenomeno è stato identificato per la prima volta negli anni Settanta, gli psicologi dicono che sembra essere sempre più diffuso nel mondo odierno, ipercompetitivo ed economicamente insicuro.
Le cause
Le cause sono facilmente intuibili: teme di non essere all’altezza delle attese o della percezione altrui chi è più portato all’introspezione e al pensiero critico (e autocritico). Chi per motivi di educazione o semplicemente di stile trova imbarazzante pavoneggiarsi. Oppure chi ha la (fondata, sana e realistica) consapevolezza di poter sbagliare, e si trova a confronto con persone che, almeno in apparenza, sono del tutto certe di essere nel giusto.
Infine, chi ha un forte senso del dovere, e del dover corrispondere alle aspettative sempre, e magari superandole.
Io e la sindrome dell’Impostore
Appena ho sentito Valeria parlare della sindrome dell’Impostore mi sono sentita coinvolta in prima persona. Io ne sono travolta in pieno. Per accettare di essere una persona con grandi competenze e che queste competenze hanno un valore ci ho messo un bel po’. E tutt’ora ogni volta che mi viene fatto un complimento non solo arrossisco, ma non riesco a rispondere. Eppure se mi guardo indietro ed intorno capisco che dovrei solo essere orgogliosa degli obiettivi raggiunti sia online che offline.
Come provo a contrastare la sindrome dell’impostore ?
Prima di tutto provo a fare un elenco dei miei pregie dei miei difetti,alle volte anche scrivendoli, e spesso mi accorgo di essere più indulgente con gli altri che con me stessa, tanto che gli amici mi dicono che la mia autocritica mi distruggerà.
Ma soprattutto ho cominciato a pensare che la fortuna è una parte, solo una parte, di ciò che accade. Ho smesso di dire “che fortuna”.
La fortuna esiste, e può essere che contribuisca al mio successo, ma in una piccola percentuale. Quindi ogni volta che penso di essere stata fortunata, provo a quantificare la percentuale di fortuna e quella di duro lavoro (o altro) che mi ha permesso di raggiungere quel determinato risultato.
Infine, ed è la parte più difficile, quando qualcuno mi fa un complimento non trovo più giustificazioni e dire che non è merito mio. Ho imparato a guardare dritto negli occhi l’interlocutore e a rispondere grazie.
Travel trips – Caffè a Madrid
Cafelito, nel quartiere Rastro, a Madrid è un vero tempio del caffè e l’aroma delle sue miscele e la piacevolezza dei suoi arredi si sentono e si intravedono fin dalla strada che conduce al mercato domenicale.
Il Cafelito, con i suoi infissi originali di 100 e più anni, non è solo un bar, ma anche un laboratorio culturale, una biblioteca, un circolo degli artisti e un locale di degustazione senza tempo, anzi dove il tempo si ferma, come in un vecchio set cinematografico.
Delizioso è il caffè di Cafelito, offre inoltre diversi tipi di tè, dolci fatti in casa, “tostas”, cereali e molte altre opzioni come torte home made.
I proprietari e il personale curano ogni piccolo dettaglio, e si vede. I camerieri si prendono il tempo per spiegare cosa hanno da offrire, cosa è meglio in base alla stagione in cui ci troviamo e spiegano anche l’origine dei loro prodotti.
Mi hai fatto conoscere un posto che non conoscevo a Madrid. Appena possibile bisognerà seguire la parola dell’esperta di caffé. E mi hanno incuriosito le tue riflessioni riguardo a questa sindrome. Grazie per la tua sincerità.
Carissima, ricordo esattamente il giorno in cui mi sono imbattuta in questo localino a Madrid recandomi a passeggiare al mercato del Rastro. Il luogo ha un fascino particolare che haime credo abbiamo invece perso il mercato. Tu che ne pensi ? 🙂 grazie di essere passata di qua (anche)
Verissimo. Purtroppo il vero Rastro ha seguito il destino di tanti negozi: è andato a picco. Mi confidava un venditore … parecchi anni fa (sono secoli che non ci vado!) che la gente non è più interessata a comprare gli oggetti per cui il rastro una volta era famoso (semiantichità, oggetti non necessariamente di valore ma curiosi o rari, mobili “belli”, suppellettili….). Ecco perché, deduco io, è diventato un mercatino rionale, rintracciabile con le stesse caratteristiche quasi ovunque. Ha mantenuto però il nome che lo contraddistingueva. Per fiutarne il vero carattere bisognerebbe addentrarsi nei negozi, nei magazzini di roba vecchia, a ridosso delle bancarelle. Ora è venuta curiosità anche a me e vorrei tornare per vedere come stiano le cose, ma proprio questo periodo, in cui l’emergenza annacqua i dati reali… (o altera la realtà, non so bene…) non sarebbe quello giusto.
Grazie di questo racconto da vero local del Rastro o di quello che rimane. A me piace tornare a visitare gli stessi mercati dopo anni per vederne le differenze e le particolarità che si sono perse o si sono rinnovate. Ad esempio nella mia Livorno c’era il mercatino americano con i prodotti che i soldati, che venivano in Italia nel post guerra, portavano e rivendevano. Per un po’ è stato rimpiazzato da cinesate e adesso è stato spostato, ridimensionato, e riportato, seppur nel piccolo, all’antico splendore.
Interessante! Quando andrò a Livorno ti chiederò dettagli. Mi incuriosisce il mercatino americano, anche se capisco che gli interessi si rinnovano e possono modificare “il mercato”.
Mi hai fatto conoscere un posto che non conoscevo a Madrid. Appena possibile bisognerà seguire la parola dell’esperta di caffé. E mi hanno incuriosito le tue riflessioni riguardo a questa sindrome. Grazie per la tua sincerità.
Carissima, ricordo esattamente il giorno in cui mi sono imbattuta in questo localino a Madrid recandomi a passeggiare al mercato del Rastro. Il luogo ha un fascino particolare che haime credo abbiamo invece perso il mercato. Tu che ne pensi ? 🙂 grazie di essere passata di qua (anche)
Verissimo. Purtroppo il vero Rastro ha seguito il destino di tanti negozi: è andato a picco. Mi confidava un venditore … parecchi anni fa (sono secoli che non ci vado!) che la gente non è più interessata a comprare gli oggetti per cui il rastro una volta era famoso (semiantichità, oggetti non necessariamente di valore ma curiosi o rari, mobili “belli”, suppellettili….). Ecco perché, deduco io, è diventato un mercatino rionale, rintracciabile con le stesse caratteristiche quasi ovunque. Ha mantenuto però il nome che lo contraddistingueva. Per fiutarne il vero carattere bisognerebbe addentrarsi nei negozi, nei magazzini di roba vecchia, a ridosso delle bancarelle. Ora è venuta curiosità anche a me e vorrei tornare per vedere come stiano le cose, ma proprio questo periodo, in cui l’emergenza annacqua i dati reali… (o altera la realtà, non so bene…) non sarebbe quello giusto.
Grazie di questo racconto da vero local del Rastro o di quello che rimane. A me piace tornare a visitare gli stessi mercati dopo anni per vederne le differenze e le particolarità che si sono perse o si sono rinnovate. Ad esempio nella mia Livorno c’era il mercatino americano con i prodotti che i soldati, che venivano in Italia nel post guerra, portavano e rivendevano. Per un po’ è stato rimpiazzato da cinesate e adesso è stato spostato, ridimensionato, e riportato, seppur nel piccolo, all’antico splendore.
Interessante! Quando andrò a Livorno ti chiederò dettagli. Mi incuriosisce il mercatino americano, anche se capisco che gli interessi si rinnovano e possono modificare “il mercato”.
Sarà un piacere farti scoprire la mia città. Grazie mille